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Gli scandali del
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ATENE - Altro che eroi omerici
puri e nobili dello sport: anche nei giochi
olimpici dell’antichità abbondavano rancori,
vanità, imbrogli e anche qualche scandalo. Lo
sostengono diversi storici ed archeologi, per i
quali quegli atleti «avevano molti degli stessi
problemi che abbiamo oggi». Per David Gilman
Romano, che dirige uno scavo della University of
Pennsylvania al monte Lykaion, a 27 chilometri
dall’Antica Olimpia, sede dei giochi
dell’antichità, «gli antichi greci non erano
così idealisti come li immaginiamo, ed avevano
molti degli stessi guai degli atleti di oggi».
Per lo studioso, se da una parte c’erano grandi
sportivi come il lottatore Arhichion, che lottò
fino alla morte, le competizioni erano segnate
da scandali, odi implacabili, tattiche non
proprio onorevoli. Le gare nella piana di
Olimpia avvenivano davanti a 40.000 spettatori
che si assiepavano sulle colline attorno alla
zona delle gare, dove sorgevano alcuni dei più
importanti e sacri templi dell’Ellade. Lo sport,
si pensava, era il più alto tributo agli dei,
che avrebbero favorito l’atleta vincitore.
Proprio per questo, gli atleti, prima
dell’inizio delle gare, onoravano le statue
degli dei: ai piedi della colossale statua di
Zeus olimpio - una delle sette meraviglie del
mondo antico - sacrificavano un bue ed un
cinghiale, bruciando la loro carne nel sacro
fuoco. Quando le gare iniziavano - duravano
in media cinque giorni - ecco scattare subito le
tattiche scorrette: molti atleti ricorrevano a
maghi e oracoli per gettare maledizioni sugli
avversari. Il primo scandalo di cui si abbia
traccia risale al 388 a.C., quando il pugile
Eupolus di Tessaglia pagò tre avversari per
vincere altrettanti match per Ko. Altri atleti
facevano clamorosi cambi di casacca anche
durante le gare, in cambio di soldi offerti da
un’altra città - avere campioni tra le proprie
mura era infatti segno di grande prestigio e
favore divino: quando Siracusa si comprò il
velocista Astylos, che lasciò quindi Crotone, i
suoi concittadini scesero in strada distruggendo
la sua statua e trasformando la sua casa in una
prigione. La corruzione raggiunse livelli
preoccupanti in età romana, in particolare sotto
Nerone: l’imperatore versò somme consistenti ai
giudici olimpici affinché introducessero la
poesia tra gli sport (vinse lui, neanche a
dirlo); lo stesso imperatore si fece dichiarare
vincitore della gara di biga, nonostante fosse
caduto e non fosse mai arrivato al traguardo.
Gli esperti non si sono mai accordati su
quanti fossero gli eventi sportivi, se 14 o 18.
La gara dei carri trainati dai muli si tenne
solo per 56 anni nel V secolo a.C, per esempio.
Inoltre, le gare per sbandieratori e suonatori
di tromba possono davvero essere considerate uno
sport? Alcune discipline - lancio del disco o
del giavellotto, ad esempio - sono arrivate fino
a noi, mentre altre sono scomparse: è il caso
della corsa con l’armatura o il «pankration»,
una lotta senza esclusione di colpi che
consentiva i calci nei genitali o la frattura
delle dita dell’avversario. Quel che è
certo, è che i vincitori si sentissero quasi dei
semidei, adorati dalle loro città di origine, e
ricoperti di premi: cospicui stipendi annuali,
il miglior olio d’oliva, pasti gratuiti, parate
in loro onore e persino un’abbondanza di donne
disposte ad offrire favori sessuali. Ecco quindi
che gli atleti diventavano veri campioni di
vanità e arroganza, come raccontano alcuni
storici. Al contrario - e questo spiega il
ricorso in molti casi a tattiche oltre le regole
- i perdenti diventavano reietti della società :
come scrive il poeta Pindaro, «strisciavano
dalle loro madri attraverso i
vicoli».
5/8/2004 |
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